domenica 13 novembre 2011
Giovanni, un amico che ci ha mostrato Cristo
TESTIMONI
Giovanni, un amico che ci ha mostrato Cristo
08/11/2011 - A Varese i funerali di Giovanni Bizzozero, lo studente
di Veterinaria morto nella notte tra giovedì e venerdì in un
incidente: «Attraverso di lui, il Signore ci chiede: cos'hai di più
caro?». L'omelia di don Ambrogio Pisoni
Giovanni Bizzozero.
Varese, Basilica di San Vittore, 7 novembre 2011
Ti ringraziamo, Signore Gesù, perché ci hai commossi fin qui oggi.
Non è una svista linguistica, ma un giudizio che dice fino in fondo
la verità di quello che stiamo vivendo in questo momento
assolutamente unico: siamo qui perché un Altro ci ha chiamati, ci sta
muovendo, ha così a cuore la nostra vita che ci ha condotti fin qui
insieme, cioè ci ha com-mossi. E ha cominciato a commuoverci qualche
tempo fa: 23 anni fa per il padre e la madre di Giovanni, qualche
tempo dopo (fino a poche ore fa) per ciascuno di noi. Altrimenti non
saremmo qui.
Perché è il Signore, è Lui, Colui che non possiamo cercare tra i
morti perché è vivo! È resuscitato, cioè è qui adesso. Sta
accadendo adesso, nella festa della vita che è la Sua Santa
Eucaristia che stiamo celebrando. È questo Signore che un giorno è
entrato, discretamente e definitivamente, nella vita di Giovanni: nel
giorno del suo Battesimo, il regalo più grande che i suoi genitori
hanno fatto alla sua vita. E poi attraverso l’incontro definitivo,
affascinante, pieno di bellezza, di musica, di gioia, di letizia: è
stato l’incontro con il carisma donato a don Giussani che, a un
certo punto, ha affascinato con la sua forza di bellezza
irresistibile il cuore, la libertà, la ragione, la carne di Giovanni.
Perché noi abbiamo avuto la grazia di incontrarlo così.
Così che oggi, alla radice del nostro cuore, sta balbettando in
qualcuno, in altri forse in maniera più chiara, più potente, la
domanda dei discepoli di Gesù consegnata per sempre al Santo Vangelo.
La domanda che Pietro, Giacomo, Giovanni, Andrea, Bartolomeo, davanti
alla persona di Gesù, davanti ai Suoi gesti e alle Sue parole,
sentivano prepotente ergersi dentro di loro, fino ad affiorare sulle
loro labbra: «Chi sei Tu, cui il mare e il vento obbediscono?». Chi
sei Tu, che sei capace ancora oggi di affascinare così la nostra
vita? Chi sei Tu, che hai preso fino alla radice il cuore di Giovanni
e hai compiuto la sua vita? Perché quando ci si congeda da questo
mondo, la ragione è una sola (la Chiesa l’ha ricevuta, questa
ragione, la custodisce e l’annuncia al mondo in maniera
instancabile): il congedo da questa vita avviene quando il nostro
compito si compie, quando abbiamo assolto il nostro compito. A 23
anni, a 16 anni, a 100 anni… La morte, l’ultimo atto di una vita
che si è consegnata, è il suggello di questo.
Siamo qui perché noi abbiamo avuto la grazia di incontrare questo
amico. Con gli occhi sempre aperti, con il cuore sempre attento, con
una generosità senza limiti non dovuta alla bellezza del suo
temperamento. Giovanni non ha avuto pudore nel manifestare nella sua
vita il segreto che l’animava, la forza che la rendeva giovane ogni
giorno, la bellezza che l’affascinava: forza, bellezza, bontà,
verità, che hanno il nome e il volto di Gesù Cristo. A questa
Presenza, Giovanni ha consegnato la sua vita. E il Signore è stato
generoso: attraverso di lui, infatti, ha toccato almeno le vite di
noi qui oggi. E chissà quante altre. Così che il Signore, attraverso
di lui, ancora una volta ha confermato il metodo con cui sta nella
storia, con cui rimane presente, vivo tra i vivi: il metodo è la
testimonianza. Così noi possiamo ancora oggi conoscere Cristo, e dopo
la vita terrena di Giovanni possiamo dire, e dobbiamo dire: «Signore
grazie, perché ti conosciamo di più: Ti sei concesso a noi,
attraverso Giovanni». Perché è questo che è veramente accaduto.
Qualcuno, incontrandolo in questa stagione così intensa della sua
vita, quando lo vedeva così limpidamente ingenuo di fronte alle cose,
faceva fatica a trattenere un sorriso lievemente imbarazzato. Di
quell’imbarazzo strano che ci prende sempre, quando siamo davanti ai
testimoni del Signore, davanti ai bambini. Perché essere cristiani
vuol dire essere chiamati a diventare grandi come un bambino, e
Giovanni è diventato così rapidamente grande come un bambino, che il
Signore gli ha detto: «Vieni, servo buono e fedele, vieni. Adesso
continuerai a lavorare con me dall’altra parte». Cioè più
presente di prima. Quel sorriso imbarazzato che ci mette un po’ in
difficoltà, perché facciamo ancora fatica ad arrenderci di fronte
alla testimonianza disarmante del Mistero. Eppure siamo costretti a
renderci ancora conto che veramente si può vivere così, come ha
vissuto Giovanni. Cioè lasciando che il Signore diventi realmente il
Signore della mia vita. Il Signore dell’istante. Il Signore della
libertà. Il Signore del cuore. Il Signore della ragione. Il Signore
della carne e del sangue.
Qualcuno tornerà a casa più pensoso, perché il testimone ci
inquieta. Come è inquietante la presenza del Signore, quel Signore
che - come don Giussani instancabilmente ci ricordava - ama la nostra
libertà più della nostra salvezza. Per questo è inquietante.
Eppure è così segretamente atteso, così desiderato. Così che
quando incontriamo i Suoi amici, i Suoi testimoni, coloro che hanno
avuto l’umiltà e il coraggio di rispondere alle domande di Gesù…
Come è stato per Giovanni, perché Giovanni ha risposto alle domande
di Gesù, alle domande consegnate per sempre alla Sua parola scritta e
santa, il Vangelo: «Giovanni, che cosa stai cercando?». È la
domanda che fa ad ognuno di noi: prima di morire bisogna rispondere a
questa domanda! E non sappiamo quando accadrà. «Che dice la gente di
me, Giovanni? E tu cosa dici?». Fino a quel momento drammatico e
supremo in cui il Signore ha avuto il coraggio di chiedere a
Giovanni, come a noi oggi: «Giovanni, se ne sono andati tutti. Non
hanno retto di fronte allo scandalo di un amore così grande che si
concede nella carne, perché se tu non mangi la mia carne… Giovanni,
vuoi andartene anche tu come gli altri?». E Giovanni è rimasto: se
andiamo via da te, Signore, dove andremo? Che ne sarebbe della nostra
vita senza di te? Della nostra vita, del nostro piangere e del nostro
sorridere, del nostro lavoro e del nostro amore, delle nostre lacrime
e della nostra fatica. Fino all’ultimo: «Giovanni, mi ami tu?
Ester, mi ami tu? Flavio, mi ami tu?». A ciascuno di noi che siamo
qui: «Mi ami tu? Che cosa ti è veramente caro nella vita?». Il
Signore attraverso Giovanni ce l’ha detto: «Non c’è nulla di
più caro che la mia vita. Perché senza di me non potete vivere».
Per questo, oggi il nostro sentimento deve, almeno una volta (e forse
per qualcuno è la prima volta), sottomettersi al giudizio. E il
giudizio non è una parola astratta: il giudizio è questa assemblea
di noi qui, che stiamo partecipando dell’atto di Cristo che rinnova
il Suo sacrificio per la salvezza del mondo, l’Eucaristia. Questa
assemblea è il giudizio sul mondo: Egli è vivo, non cercatelo più
tra i morti! Egli è vivo ed è qui! E ha riempito di Sé a tal punto
la vita di Giovanni, che il cuore di Giovanni a un certo punto
sanguinava di amore per Lui. Questa è la verità sulla sua così
breve e intensa vita.
Ma la nostra vita non è mai breve, perché il tempo - ci ricordava
don Giussani - non è qualcosa che passa: è Cristo che ci viene
incontro. Non dimentichiamolo. Questa è la grande risposta alla
domanda inesorabile che Agostino ha consegnato a tutta la storia
della Chiesa, a tutti gli uomini: che cos’è il tempo? Il tempo è
Cristo che mi viene incontro. Il Signore dell’istante, il Re della
gloria, dello spazio e del tempo, capace di riempire la vita nostra
fino a quel punto. Di renderla piena di ingenua baldanza. L’abbiamo
visto coi nostri occhi, cos’è l’ingenuità. E Giovanni era un
ingenuo: non come può essere ingenuo un bambino, che paga ancora il
debito dell’essere bambino, ma quell’ingenuità voluta che nasce
da un amore totale. Da un sì a Cristo senza riserve. Così si sta nel
mondo. A 20 anni e a 90 anni, si sta nel mondo così, perché questa
è la ragionevolezza suprema cui siamo chiamati: vivere così perché
Cristo è tutto, presente qui e ora.
Grazie, Signore, che ci hai permesso di incontrarlo. Perché adesso,
tornando alle nostre case, dicendo «arrivederci» a Giovanni,
conserviamo la memoria della sua testimonianza come sorgente della
nostra speranza. Perché, nella vita della Chiesa, la speranza
coincide con la memoria: fiori bellissimi che rinascono continuamente
dalla radice della fede, cioè dall’uomo che Lo riconosce presente.
Torneremo alle nostre case più lieti, ne sono certo. La letizia è
quella strana posizione del cuore che nasce miracolosamente dalla
fede, e che convive anche con il dolore. E solo in quel momento svela
il suo volto vero: il dolore, il nome vero dell’amore. Torneremo
alle nostre case più certi, più lieti, e perciò più inquieti:
«Chi sei Tu, Signore, capace di compiere (oggi, adesso, qui, in
questo momento!) questo miracolo? E di convocarci così?». Non
abbiamo potuto rimanere a casa, non abbiamo potuto vivere questo
lunedì come il lunedì dell’anno passato o come il giorno prima.
Non abbiamo potuto farlo. Perché? Chi sei Tu, capace di riempire di
questa letizia la nostra vita? Chi sei Tu, capace di rendere così
certa la nostra vita, in un mondo che grida tutto il contrario di
questo? Eppure il mondo attende questo. Tutto il mondo e tutti gli
uomini attendono Cristo, cioè i suoi testimoni. Giovanni non ha mai
detto “no”. E, se è stato possibile per lui, è possibile per me
ed è possibile per te. Nell’abbraccio di Cristo che è il
Battesimo, nel germogliare continuo, nel rinnovarsi instancabile del
nostro essere nuova creatura.
Per questo, Giovanni, ti diciamo grazie. E, così come ci hai
accompagnato in questi brevi istanti così definitivi della tua vita
su questa terra, Giovanni, ti preghiamo: non abbandonarci! Anzi,
siamo certi che non ci abbandonerai, perché la memoria della tua
storia diventa già adesso sorgente di speranza e di certezza
rinnovata. Perché sappiamo (altrimenti non saremmo qui) che si può
davvero vivere così. La tua testimonianza porterà alla vera domanda:
abbiamo bisogno di Te, Signore Gesù. E basta. In ciò che viviamo
abbiamo solo bisogno di Te.
Lasciamo che la nostra vita, come quella di Giovanni, si lasci
mendicare da Cristo. La cosa più ardua della nostra vita è accettare
di essere amati da Cristo così: «Egli, mendicante del nostro cuore,
e il nostro cuore mendicante di Lui». Parole indimenticabili
proclamate con voce vibrante di emozione e di certezza da don
Giussani davanti al Papa (e perciò davanti al mondo intero), il 30
maggio 1998 in Piazza San Pietro. Questa è la bellezza della vita
dell’uomo: Cristo, mendicante del nostro cuore, e il nostro cuore
mendicante di Cristo. Questa mendicanza è la nostra ricchezza. Questa
mendicanza è la nostra certezza. E, per questo, sia lodato Gesù
Cristo
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