mercoledì 30 marzo 2011

lettera del 29/03/2011

Da: padre Aldo TRENTO
 Data: Tue, 29 Mar 2011 17:18:37 -0300
 Oggetto: lettera 29/03/2011
 
 Cari amici, Carrón ci parla sempre della contemporaneità di Cristo. Ma cosa vuol dire? Vedere con i propri occhi, toccare con le proprie mani la vittoria di Cristo risorto come documentano le due foto della cresima, celebrata domenica scorsa nella clinica di Alma e Carol.
 Ambedue ammalate gravemente di cancro e giunte alla clinica con la disperazione nel cuore, con i loro 17 anni di età, hanno incontrato nell’abraccio tenero di Gesù grazie a chi vive con la certezza del “Io sono Tu che mi fai”, la gioia di vivere. Alma era mormona e ha voluto diventare cattolica e domenica con la sua compagna di camera hanno ricevuto lo Spirito Santo nel Sacramento della cresima. Guardate il segno della vittoria di Cristo, della contemporaneità: la letizia che si vede nei loro volti.
 Amici non esiste circostanza neanche il cancro a 17 anni che sia più forte di Gesù. Una conferma bellissima è che il problema è solo uno: Chi è Cristo per me? Che esperienza faccio di Lui? Sono attento a cogliere i segni continui della Sua Presenza? Ho letto in una poesia di Rebora quando sono stato recentemente a Stresa che diceva cosi: “Vigilare l’istante”.

[Image]

Ecco cosa vogliamo dirci le facce di Alma e Carol, coscienti di ciò che hanno a 17 anni. “Vigilare l’istante”, cioè:  “Io sono Tu che mi fai” come coscienza dell’istante che mi è dato
 P. Aldo

lunedì 28 marzo 2011

GIAPPONE «Perché sono qui proprio ora?»

NEWS

GIAPPONE «Perché sono qui proprio ora?»

Pubblichiamo la lettera di una studentessa di Zurigo, a Tokio per un
semestre Erasmus. Dopo il terremoto, si è spostata a Hiroshima. Adesso è
al sicuro. «Ma cosa vuol dire? Siamo veramente salvi?»

Cari amici,
grazie per tutti i messaggi che mi state scrivendo e per le vostre
preghiere. Sto tentando di rispondervi singolarmente ma il tempo stringe.
Sono arrivata qualche ora fa ad Hiroshima. Ci siamo spostati da Tokyo a
causa del rischio di emanazione di materiale radioattivo dalle centrali
danneggiate. Viviamo ora per ora. Siamo al sicuro, ma cosa vuole dire?
Temiamo tutti tanto. Siamo letteralmente affidati nelle mani del Signore.
Purtroppo sono già le tre del mattino e domani mi aspetta una giornata…
potete capire. Quindi mi scuserete se vi mando il pezzo di una mail che ho
scritto a uno di voi.

Ho trovato il coraggio di venire in Giappone perché mi sono accorta di
diversi fatti che sono accaduti e di intuizioni, di sussulti nel petto che
ho avuto e che mi hanno fatto capire che questa era la cosa giusta per me.
Poi, dopo tre settimane di intensissime scoperte e ricchi rapporti... Chi
poteva immaginare che il Signore mi guidasse a condividere questo dramma
cosmico in prima persona?
Cosa ci faccio io qui? Perché proprio adesso? Signore, cosa posso fare?
Cosa mi chiedi?
Come vedi, amico mio, anch’io sono abbastanza in alto mare. Ma sono certa
che il Signore mi accompagna. Ne sono assolutamente certa. La Grazia del
Signore mi accompagna in ogni luogo io vada. Questo è il solo motivo di
speranza, specialmente quando la situazione si fa così urgente come in
questi giorni.
Capisci, potrei dire: “Bene, sono a Hiroshima, lontana, sono al sicuro,
posso prendere un aereo quando voglio”. Ma mi basta questo? Proprio per
niente. Sono letteralmente tesa a cogliere ogni minimo accenno, che mi
indichi perché il Signore mi ha mandato qui ora, perché ora mi trovo con
queste persone (3 adulti e 4 bambini della comunità di Comunione e
Liberazione di Tokyo), come Cristo vince ancora qui, ancora ora.
Ti assicuro, sono le due di notte, stamattina mi sono svegliata alle
quattro e poi alle sette per parlare con i miei e decidere sul da farsi,
il mio animo è in pena per decine di milioni di persone, sono a pezzi. Ma
sono certa, non posso che continuare a scrivere per dire che Dio c'è, e
nella drammaticità del momento ci accompagna.
Egli ci avvolge nella carezza della sua Presenza. È questo che emerge
quando guardo agli altri che sono qui con me, all'attenzione di uno per
l'altro, alla coscienza di essere completamente affidati nelle Sue mani (e
due donne qui hanno lasciato oggi i mariti a Tokyo, e molti altri amici
sono rimasti). Perché la dolorosa serenità che ci riempie non viene dal
fatto di essere al sicuro; non basta! Anche se ce ne siamo andati,
possiamo dirci veramente salvi?
Certo, io avevo poche cose con me, ma questi miei compagni di viaggio oggi
sono partiti da casa lasciando tutto (tutto! amici, lavoro, casa) e non
sanno neanche se potranno ritornare. Abbandonare tutto, che obbedienza ci
vuole!
Eppure proprio così, spogliati di tutto, ancora più potentemente emerge
che l'essenziale non è in quello che ci portiamo appresso, ma in Colui che
solo è in grado di reggere tutto il nostro affanno del cuore, tutta la
nostra domanda di vita. Se non avessi questa certezza sarei come già
morta, schiacciata dagli avvenimenti.
Eppure è sufficiente alzare lo sguardo e commuoversi di fronte a un gruppo
di vecchiette sedute su seggioline da pellegrinaggio che stamattina ho
visto intente a ricopiare - con una serietà tutta giapponese - la facciata
di una chiesetta neogotica, spuntata chissà come nel groviglio delle
strade di Tokyo per ritornare ad essere investita da una voglia di
affermare la vita incontenibile. Anche se io passavo con le mie valige e
dicevo: chissà che sarà di loro...
O ancora mentre ammiravo il panorama mozzafiato dalla terrazza
dell'appartamento di questi amici con cui sono partita, questa moltitudine
di scintillanti grattacieli abbracciati da una nube di luce... Non ho mai
visto niente di più bello... Potessi portarmeli via tutti con me e con la
popolazione dentro!
Tutto il mio intimo mi si rivolta contro se penso che tutto questo deve
finire in niente. Sia lodato Gesù Cristo, sempre sia lodato: Egli morendo
ci ha donato la più vera delle speranze, ci ha mostrato come l'amore al
Padre porti alla Resurrezione.
Per questo, costantemente pregate, ma non solo per i terremotati e le
vittime, ma perché ogni uomo sperimenti qual è la verità della vita,
verità che in questi momenti così drammatici stride e deve venire fuori.
Perché se no siamo già come morti.
Non smettere di pregare, Dio è la sola sorgente che dà vera speranza.
Un abbraccio,
Betty

lettera del 27 marzo 2011

IL TESTAMENTO DELLA VEDOVA
 
 Ritornato in Paraguay dall´Italia e Portogallo, dove solo quello che dice San Paolo mi ha mosso “Caritas Cristo urget nos” e l´amore ai miei Gesù che soffrano, ho avuto una commossa sorpresa che conferma quanto dice Gesù: “Le prostitute vi precederanno nel regno dei cieli”; o “Se non diventerete piccoli come i bambini non entrerete nel regno dei cieli”.
 Adolfina, una donna di 60 anni, madre di 7 figli e che ha vissuto nella strada raccogliendo le lattine della Coca Cola ecc., è cosciente che presto morirà. Non ha mai avuto un marito. La sua lunga degenza fra noi è stata felicissima: godeva di tutto, si commoveva perché poteva fare colazione, il pranzo, la merenda, la cena…Cose che non ha mai saputo cosa fossero. Avendo vissuto sempre nella strada. Adesso con la serenità di un bambino in braccio a sua madre sta preparandosi a morire.
 Perciò ha voluto redigere un testamento dicendo a chi lasciava tutto quello che aveva.
 Dice nel testamento: “Lascio la capanna (però per noi è qualcosa di molto peggio) al mio figlio più piccolo; i soldini ricavati dal lavoro di ricamo nella clinica (saranno 20 €) una parte al mio figlio piccolo, una parte ai miei amici di malattia e una parte desidero darli al Santissimo Sacramento, il direttore generale della Clinica; e infine l´unico animale domestico che tengo, una oca, al p. Aldo, perché il 25 di marzo, festa dell´Annunciazione, e si inaugura la terminazione dei lavori strutturali della clinica, possa fare festa in onore della Divina Provvidenza con tutti gli amici”.
 Non solo mi sono commosso fino alle lacrime, ma ho pensato ai mille di amici, di famiglie, bambini, givani che con tanta fatica riescono a vivere e che hanno permesso questo miracolo della clinica nuova, ma anche a coloro che vittime del terribile e odioso potere del denaro (cui avevo chiesto la collaborazione) sono insensibili a Cristo che soffre e muore. Ma non parlo di estranei, parlo di cristiani, cioè di nomini apparteneti a Cristo, a cui mi sono permesso, -solo per Cristo e non per me, che “nudo sono nato e nudo morirò”-, di chiedere un aiuto perché la lunga fila che aspetta per morire qui, si accorciasse.
 Perciò, questa povera donna che ha vissuto nella strada mi ha lasciato tutto ciò che aveva, lo ha lasciato a Cristo: una oca. Amici che schiaffo per me e per ognuno e ci fa pensare all´obolo della vedova. Grazie a quanti con la loro semplicità e con il loro affetto mi sostengono insieme a p. Paolino in un’opera non voluta in modo assoluto da me, ma sbocciata come un fiore da quell´abbraccio di Giussani, il 25 marzo, come oggi, festa dell´Annunciazione, in via Martinengo. Anche il regalo di Adolfina, l’oca, è frutto di quella tenerezza.
 Con affetto, p. Aldo

venerdì 25 marzo 2011

Messaggio, 25. marzo 2011

"Cari figli, oggi  in modo particolare desidero invitarvi alla conversione. Da oggi inizi una vita nuova nel vostro cuore. Figli, desidero vedere il vostro “si” e che la vostra vita sia il vivere con gioia la volontà di Dio in ogni momento della vostra vita. Oggi in modo particolare Io vi benedico con la mia benedizione materna di pace, d’amore e d’unione nel mio cuore e nel cuore del mio figlio Gesù. Grazie per aver risposto alla mia chiamata."

giovedì 24 marzo 2011

L’apparizione annuale a Mirjana Dragićević-Soldo 18 marzo 2011

La veggente Mirjana Dragićević-Soldo ha avuto apparizioni giornaliere dal 24 giugno 1981 fino al 25 dicembre 1982. In occasione della sua ultima apparizione quotidiana, rivelandole il decimo segreto, la Vergine le rivelò che avrebbe avuto apparizioni annuali il 18 marzo e così è stato in tutti questi anni. Più di mille pellegrini si sono riuniti per la preghiera del rosario alla Croce Blu. L’apparizione è iniziata alle 13:46 ed è durata fino alle 13:50.

"Cari figli! Io sono con voi nel nome dell’Amore più grande, nel nome del buon Dio che si è avvicinato a voi attraverso mio Figlio e vi ha dimostrato il vero amore. Io desidero guidarvi sulla via di Dio. Desidero insegnarvi il vero amore, che gli altri lo vedano in voi, che voi lo vediate negli altri, che siate fratelli a loro e che gli altri vedano in voi il fratello misericordioso. Figli miei, non abbiate paura ad aprirmi i vostri cuori. Io con amore materno vi dimostrerò che cosa aspetto da ciascuno di voi, che cosa aspetto dai miei apostoli. Incamminatevi con Me. Vi ringrazio."

mercoledì 23 marzo 2011

lettera del 21 marzo 2011

Da: padre Aldo TRENTO
Data: Mon, 21 Mar 2011 08:34:14 -0300

Cari amici,

questi giorni sono per me una grazia particolare. Sono stato in Italia per incontrare gli amici che stanno aiutando la Provvidenza divina a portare alla conclusione dei lavori della nuova clinica di cui il 25 marzo celebreremo con una Santa Messa la fine dei lavori di costruzione. Avrei certamente desiderato incontrare alcuni di voi che ci state accompagnando, ma l’impossibilità si è fatta preghiera a Fatima, dove ho avuto la gioia e la grazia di andare. Non c’ero mai stato e finalmente la Madonna mi ha voluto da lei. È stato bello per me vedere come anche in Italia sta accadendo quanto stiamo vivendo in America Latina, fra coloro che seguono e guardano concretamente l’esperienza di fede che vive Julián Carrón. È stato un incontrarmi con Giussani vivo, vibrante, appassionato all’uomo come quando il 25 di marzo del 1989 mi ha abbracciato così come ero ridotto.

Veramente guardare dove guarda Carrón è poter dire in ogni istante: “Tu o Cristo mio”.

Ho avuto la grazia di appartenere fisicamente alla scuola di comunità il 9 marzo al Sacro Cuore. È stata una esperienza indimenticabile vedere come lui ci fa lavorare, ascoltare quelle testimonianze, quella sera davvero il frutto di una esperienza, di quel lavoro che lui ci provoca a fare. Abbiamo una grazia unica, che non solo elimina ogni distanza fra noi, sia fisica che geografica, ma ci riempie di letizia, quella letizia che traspirano i miei ammalati terminali prima di morire o i miei bambini. Si perché anche loro dipendono da come io seguo Carrón, da come io vivo il carisma, da come Cristo è contemporaneo. Ho visto in Italia un sacco di persone incontrarsi, stare assieme non più definite dal perimetro geografico ma da persone e luoghi in cui Cristo è chiaramente visibile, e in cui il cuore incontra quella oggettiva corrispondenza di cui ha bisogno. Ho toccato con mano che i giovani sono ancora con quel cuore di quando sono partito 22 anni fa. Ho toccato con mano che più che di emergenza educativa dobbiamo parlare di emergenza educatori, cioè di uomini adulti nel cui volto brilla la luminosità del destino. Mi sono incontrato con bambini, adolescenti, giovani e mi sono sentito sommerso dalle domande, le stesse di 22 anni fa, di 38 anni fa, quando ho incontrato G.S., le stesse di duemila anni fa. Ho incontrato operai, giovani, imprenditori e i giovani imprenditori della Confindustria di Bologna. La maggioranza non solo non era di C.L. ma spesso neanche cattolica, come Gabriele Nissin, l’amico ebreo del libro “La bontà insensata” e in tutti ho incontrato una fame e sete di Cristo espressa in forme diversissime. Nell’incontro con i giovani imprenditori della Confindustria Di Bologna e nel giornalista di RAI3 che faceva le domande, il preconcetto dell’inizio è diventato alla fine sorpresa, gioia, amicizia. Mi sono reso conto che solo se siamo innamorati di Cristo, solo se seguiamo Carrón con intelligenza e affetto facendo esperienza di Cristo diventiamo affascinanti e interessanti per tutti. Ho incontrato uomini stanchi delle mediazioni, reattivi ai discorsi, o a chi ha paura di dire Cristo, di mostrare che appartengono  e desiderosi di vedere, di incontrare uomini che con la vita e con le parole raccontano ciò che vivono, ossia uomini con la certezza della fede, con lo sguardo fisso sul quel “Tu” che tutto domina.

Perfino i sufficienti esperti delle menti umane che ho incontrato si arrendono davanti a questa evidenza, riconoscendo che non è la psicologia a rispondere al cuore dell’io, ma quel “Tu che mi fai”. Grazie e che la quaresima sia davvero uno scoprire che la misericordia è l’amore nella sua origine.


Carissimi amici,

ecco, guardatela, è Marianna, nata il 15 marzo da quella mia figlia, che è ancora una bambina, 15 anni. È passato un mese da quando la Provvidenza ha aperto e inaugurato quella nuova opera di misericordia, per accogliere le bambine, le adolescenti violentate e incinte. Marianna è il primo frutto di questa misericordia che attua continuamente. Anche lei come me non è il frutto dei suoi antecedenti ma di quel “Tu che mi fai”. Sono, siamo commossi nel vedere come Dio ha pietà dell’orfana, della vedova, del forestiero come dice la Sacra Scrittura. Guardandole non posso non essere commosso perché tanto la giovanissima madre come lei sono state salvate dalla tenerezza di Dio che ha vinto la brutalità, il cinismo di chi voleva che abortisse. 



Cristo vince sempre e per questo vince la vita. Non è la battaglia per la vita il problema primo, ma l’annuncio di Cristo, perche innamorati di Cristo. Anche per voi che vi ho visto preoccupati giustamente per la legge che si discute in parlamento, obbedienti alle indicazioni dei vostri vescovi, non dimenticate mai che il vero problema sta solo nella nostra passione per Cristo. Noi siamo chiamati come San Paolo ad annunciare “Apertis verbis” Cristo, o perché il mondo ha solo bisogno di questo. L’ho toccato con mano parlando a Bologna alla Confindustria. Anche loro sono tornati a casa colpiti per aver ascoltato un asino che di teologia conosce ben poco, ma che è stato afferrato da Cristo.

Marianna è nata perché la mamma ha incontrato qualcuno che l’ha guardata come Gesù ha guardato Zaccheo e l’adultera o la samaritana.

Sentire la gioia di P. Paolino perché Marianna e nata quando ero in Italia, è davvero commovente perché con me c’è davvero un amico capace di amore, di guardare come mi ha guardato Giussani, come ci guarda Carrón, Marco, Cleuza e tanti altri.

Pregate perché Marianna sia felice.

Con affetto. P. Aldo.





mercoledì 16 marzo 2011

Anche in Etiopia musulmani massacrano cristiani

[fonte Zenit]
Incerto il bilancio dei morti, edifici e luoghi di culto cristiani dati alle fiamme
di Paul De Maeyer


ROMA, venerdì, 11 marzo 2011 (ZENIT.org).- Anche dall'Etiopia giungono notizie di un'ondata di violenza interreligiosa. Come ha riferito il sito Compass Direct News (CDN, 7 marzo), l'epicentro dei pesanti scontri fra musulmani e cristiani è la città centro-occidentale di Asendabo, nei pressi di Gimma (o Jimma, capoluogo dell'ex provincia di Kaffa), nella più grande e popolosa regione del Paese del Corno d'Africa, Oromia (o Oromya).
Un bilancio molto provvisorio parla di almeno due cristiani uccisi. Lo ha confermato a Voice of America (8 marzo) il portavoce del governo etiope, Shimelis Kemal. Una delle vittime sarebbe un credente della Chiesa ortodossa etiope (che si definisce "Tewahedo" o miafisita), la cui figlia appartiene alla Chiesa Evangelica Etiope Mekane Yesus (di tradizione luterana). "È difficile fare delle stime in termini di decessi, dato che non abbiamo accesso a nessun posto", ha detto una fonte a Compass. I danni materiali sono molto pesanti: decine di edifici e di luoghi di culto cristiani, fra cui anche alcune scuole bibliche, e case sono state date alle fiamme. La violenza ha provocato inoltre alcune migliaia di sfollati.
Mentre più della metà della popolazione dell'Etiopia è cristiana (secondo l'ultimo censimento, del 2007, il 44% degli abitanti appartiene alla Chiesa ortodossa etiope e il 19% alle varie denominazioni evangeliche e pentecostali), la zona di Asendabo e Gimma è a maggioranza islamica e da tempo teatro di rivalità tra le due comunità. Secondo una fonte di Compass, gli attacchi contro le chiese sono diventati all'ordine del giorno nelle zone a maggioranza musulmana dell'Etiopia, come appunto Gimma o anche Giggiga (o Jijiga), la regione somala nell'est del Paese, dove vige la legge islamica o sharia.
La scintilla che ha fatto scoppiare il 2 marzo scorso l'ondata di violenza è stata una notizia - non confermata - di una presunta profanazione del Corano. Un cristiano avrebbe strappato una copia del libro sacro dell'islam.
Secondo le informazioni raccolte da Compass, dopo i primi scontri avvenuti ad Asendabo la violenza si è propagata a macchia d'olio ad altri centri della zona, come Chiltie, Gilgel Gibe, Busa e Koticha. Migliaia di musulmani hanno dato l'assalto a decine di obiettivi cristiani. Dei 59 luoghi di culto distrutti ed incendiati dalle folle, ben 38 appartengono alla Ethiopian Kale Hiwot Church (EKHC, l'equivalente etiope della Chiesa battista), 12 alla Mekane Yesus e 6 alla Chiesa Avventista del Settimo Giorno.
Secondo quanto riportato da Compass, alcuni capi evangelici hanno riferito gli episodi alle autorità che finora non hanno fatto nulla per fermare l'ondata, che potrebbe raggiungere Gimma, che con i suoi circa 160.000 abitanti è il più grande centro urbano dell'Etiopia occidentale. Secondo alcune testimonianze, le forze dell'ordine non sarebbero intervenute, nonostante le richieste di protezione da parte della comunità cristiana.
L'inazione o incapacità da parte del governo etiope di fermare la violenza è stata fortemente criticata dall'organizzazione International Christian Concern (ICC). "I pubblici ufficiali etiopi hanno la responsabilità di proteggere i loro cittadini dagli attacchi. È uno scandalo e una violazione del loro obbligo contemplato nel diritto internazionale dei diritti umani che il governo lasci i musulmani uccidere i cristiani e distruggere le loro proprietà", ha detto Jonathan Racho, responsabile regionale per l'Africa dell'ICC (4 marzo).
A respingere l'accusa è stato lo stesso portavoce del governo centrale di Addis Abeba, Shimelis, che sempre a Voice of America ha annunciato l'arresto di 130 "estremisti" sospettati di aver fomentato l'odio religioso e la violenza.
La nuova ondata di violenza settaria coincide con i gravi combattimenti in corso al confine tra Kenya, Etiopia e Somalia, dove le forze del debole governo transitorio della Somalia cercano di cacciare con l'appoggio attivo dell'esercito etiope i miliziani del movimento islamista di Al-Shabaab dalla città di Bulahawo, nei pressi della città keniana di Mandera. Il capo della famigerata milizia estremista, sostenuta dall'Iran, Sheikh Mahad Omar Abdikarim, ha lanciato d'altronde la settimana scorsa un appello ai musulmani "oppressi" in Kenya e in Etiopia di insorgere contro i loro rispettivi governi e di "liberarsi" dal dominio cristiano (Africa Review, 4 marzo).
Il fondamentalismo islamico è d'altronde in crescita in Etiopia. Il 18 novembre scorso, un cristiano di Moyale (città della regione Oromia, sul confine con il Kenya) - Tamirat Woldegorgis, membro della Full Gospel Church - era stato condannato ad una pena di tre anni di prigione per aver dissacrato il Corano ed era stato trasferito in un carcere a Giggiga. Un collega musulmano aveva accusato l'uomo, che di mestiere faceva il sarto ed era stato arrestato ad agosto, di aver scritto "Gesù è il Signore" su un pezzo di stoffa e in un esemplare del Corano, accuse d'altronde mai comprovate dai fatti, come ha sottolineato Compass Direct News (29 novembre 2010).
Sono stati, inoltre, condannati al pagamento di una multa anche due amici di Woldegorgis per aver sostenuto un criminale che aveva dissacrato il Corano ed insultato l'islam. La loro colpa: avevano visitato lo sfortunato sarto in carcere e gli avevano procurato del cibo.
Sempre a Giggiga era stato arrestato dalla polizia ed incarcerato il 23 maggio del 2009 un noto convertito dall'islam al cristianesimo, Bashir Musa Ahmed, perché in possesso di otto esemplari della Bibbia. Nonostante la libertà di religione sia garantita dalla Costituzione etiope e si trattasse di un'edizione della Bibbia molto diffusa nella regione somala del Paese, l'accusa mossa nei confronti di Ahmed è stata di distribuzione di letteratura religiosa con intenti "maliziosi" (CDN, 18 febbraio 2010).
L'attività o zelo dei predicatori evangelici sembra infastidire non solo la comunità musulmana, ma anche la Chiesa ortodossa locale. Il 27 gennaio 2010, due edifici appartenenti rispettivamente alla Brethren Church e alla Mekane Yesus Church sono stati assaltati da gruppi di fedeli ortodossi nella località di Olenkomi, a circa 65 km ad ovest della capitale Addis Abeba, sempre nella regione Oromia (CDN, 15 aprile 2010). Nell'attacco un predicatore in visita nella cittadina, Abera Ongeremu, era rimasto gravemente ferito. All'origine del doppio attacco c'era stato un incendio di natura accidentale che aveva distrutto una chiesa ortodossa. Malvisto nella zona a predominanza ortodossa è anche il fatto che molti insegnanti della scuola secondaria di Olenkomi sono di fede evangelica.

domenica 13 marzo 2011

Lectio divina del Papa nell'incontro con i sacerdoti di Roma, 11 marzo 2011

 CITTA' DEL VATICANO, venerdì, 11 marzo 2011 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la Lectio divina tenuta giovedì da Benedetto XVI nell'incontrarsi in Vaticano con il clero della diocesi di Roma per il tradizionale appuntamento di inizio Quaresima.



 Eminenza,
 Eccellenze e cari fratelli,

 è per me una grande gioia essere ogni anno, all'inizio della Quaresima, con voi - il Clero di Roma - e cominciare con voi il cammino pasquale della Chiesa. Vorrei ringraziare Sua Eminenza per le belle parole che mi ha donato, ringraziare voi tutti per il lavoro che fate per questa Chiesa di Roma, che - secondo sant'Ignazio - presiede la carità, e dovrebbe essere sempre anche esemplare nella sua fede. Facciamo insieme tutto il possibile perché questa Chiesa di Roma risponda alla sua vocazione e perché noi, in questa "Vigna del Signore", siamo lavoratori fedeli.

 Abbiamo ascoltato questo brano degli Atti degli Apostoli (20,17-38), nel quale san Paolo parla ai presbiteri di Efeso, raccontato volutamente da san Luca come testamento dell'Apostolo, come discorso destinato non solo ai presbiteri di Efeso, ma ai presbiteri di ogni tempo. San Paolo parla non solo con coloro che erano presenti in quel luogo, egli parla realmente con noi. Cerchiamo quindi di capire un po' quanto dice a noi, in quest'ora.

 Comincio: "Voi sapete come mi sono comportato con voi per tutto questo tempo" (v. 18) e su questo suo comportamento per tutto il tempo, san Paolo dice, alla fine, che "notte e giorno, io non ho cessato di ammonire ciascuno di voi" (v. 31). Ciò vuol dire: in tutto questo tempo egli era annunciatore, messaggero, ambasciatore di Cristo per loro; era sacerdote per loro. In un certo senso, si potrebbe dire che era un prete lavoratore, perché - come dice anche in questo brano egli ha lavorato con le sue mani come tessitore di tende per non pesare sui loro beni, per essere libero, per lasciarli liberi. Ma benché avesse lavorato con le sue mani, tuttavia in tutto questo tempo egli era sacerdote, per tutto il tempo egli ha ammonito. In altre parole, anche se non tutto il tempo era esteriormente a disposizione della predicazione, il suo cuore e la sua anima erano sempre presenti per loro; egli era penetrato dalla Parola di Dio, dalla sua missione. Questo mi sembra un punto molto importante: prete non lo si è a tempo solo parziale; lo si è sempre, con tutta l'anima, con tutto il nostro cuore. Questo essere con Cristo ed essere ambasciatore di Cristo, questo essere per gli altri, è una missione che penetra il nostro essere e deve sempre più penetrare nella totalità del nostro essere.

> Poi san Paolo dice: "Ho servito il Signore con tutta umiltà" (v. 19). "Servito": una parola chiave di tutto il Vangelo. Cristo stesso dice: Non sono venuto per dominare, ma per servire (cfr Mt 20,28). E' il Servitore di Dio, e Paolo e gli Apostoli continuano ad essere "servitori"; non padroni della fede, ma servitori della vostra gioia, dice san Paolo nella Seconda Lettera ai Corinzi (cfr 1,24). "Servire", questo deve essere anche per noi determinante: siamo servitori. E servire vuol dire non fare quanto io mi propongo, quanto sarebbe per me la cosa più simpatica; servire vuol dire lasciarmi imporre il peso del Signore, il giogo del Signore; servire vuol dire non andare secondo le mie preferenze, le mie priorità, ma lasciarmi realmente "prendere in servizio" per l'altro. Questo vuol dire che anche noi dobbiamo fare spesso cose che non appaiono immediatamente spirituali e che non rispondono sempre alle nostre scelte. Dobbiamo fare tutti, dal Papa fino all'ultimo vice parroco, lavori di amministrazione, lavori temporali; tuttavia lo facciamo come servizio, come parte di quanto il Signore ci impone nella Chiesa e facciamo quanto la Chiesa ci dice e quanto si aspetta da noi. E' importante questo aspetto concreto del servizio, che non scegliamo noi cosa fare, ma siamo servitori di Cristo nella Chiesa e lavoriamo come la Chiesa ci dice, dove la Chiesa ci chiama, e cerchiamo di essere proprio così: servitori che non fanno la propria volontà, ma la volontà del Signore. Nella Chiesa siamo realmente ambasciatori di Cristo e servitori del Vangelo.

 "Ho servito il Signore con tutta umiltà". Anche "umiltà" è una parola-chiave del Vangelo, di tutto il Nuovo Testamento. Umiltà, ci precede il Signore. Nella Lettera ai Filippesi, san Paolo ci ricorda che Cristo, il quale era sopra a noi tutti, era realmente divino nella gloria di Dio, si è umiliato, è sceso facendosi uomo, accettando tutta la fragilità dell'essere umano, andando fino all'obbedienza ultima della Croce (cfr 2,5-8). Umiltà non vuol dire una falsa modestia - siamo grati per i doni che il Signore ci ha dato -, ma indica che siamo consapevoli che tutto quanto possiamo fare è dono di Dio, è donato per il Regno di Dio. In questa umiltà, in questo non voler apparire, noi lavoriamo. Non chiediamo lode, non vogliamo "farci vedere", non è per noi criterio decisivo pensare a che cosa diranno di noi sui giornali o altrove, ma che cosa dice Dio. Questa è la vera umiltà: non apparire davanti agli uomini, ma stare sotto lo sguardo di Dio e lavorare con umiltà per Dio e così realmente servire anche l'umanità e gli uomini.

 "Non mi sono mai tirato indietro da ciò che poteva essere utile, al fine di predicare a voi e di istruirvi" (v. 20). San Paolo ritorna, dopo alcune frasi, di nuovo su questo punto e dice: "Non mi sono sottratto al dovere di annunciarvi tutta la volontà di Dio" (v. 27). Questo è importante: l'Apostolo non predica un Cristianesimo "à la carte", secondo i propri gusti, non predica un Vangelo secondo le proprie idee teologiche preferite; non si sottrae all'impegno di annunciare tutta la volontà di Dio, anche la volontà scomoda, anche i temi che personalmente non piacciono tanto. E' la nostra missione di annunciare tutta la volontà di Dio, nella sua totalità e ultima semplicità. Ma è importante il fatto che dobbiamo istruire e predicare - come dice qui san Paolo - e proporre realmente la volontà intera di Dio. E penso che il mondo di oggi sia curioso di conoscere tutto, tanto più dovremmo essere curiosi noi di conoscere la volontà di Dio: che cosa potrebbe essere più interessante, più importante, più essenziale per noi che conoscere cosa vuole Dio, conoscere la volontà di Dio, il volto di Dio? Questa curiosità interiore dovrebbe essere anche la nostra curiosità di conoscere meglio, in modo più completo, la volontà di Dio. Dobbiamo rispondere e svegliare questa curiosità negli altri: di conoscere veramente tutta la volontà di Dio e di conoscere così come possiamo e come dobbiamo vivere, qual è la strada della nostra vita. Quindi dovremmo far conoscere e capire - per quanto possiamo - il contenuto del Credo della Chiesa, dalla creazione fino al ritorno del Signore, al mondo nuovo. La dottrina, la liturgia, la morale, la preghiera - le quattro parti del Catechismo della Chiesa Cattolica - indicano questa totalità della volontà di Dio. E anche è importante non perderci nei dettagli, non creare l'idea che il Cristianesimo sia un pacchetto immenso di cose da imparare. Ultimamente è semplice: Dio si è mostrato in Cristo. Ma entrare in questa semplicità - io credo in Dio che si mostra in Cristo e voglio vedere e realizzare la sua volontà ha contenuti, e, a seconda delle situazioni, entriamo poi in dettaglio o meno, ma è essenziale che si faccia capire da una parte la semplicità ultima della fede. Credere in Dio come si è mostrato in Cristo, è anche la ricchezza interiore di questa fede, le risposte che dà alle nostre domande, anche le risposte che in un primo momento non ci piacciono e che sono tuttavia la strada della vita, la vera strada; in quanto entriamo in queste cose anche non così piacevoli per noi, possiamo capire, cominciamo a capire che è realmente la verità. E la verità è bella. La volontà di Dio è buona, è la bontà stessa.

 Poi l'Apostolo dice: "Ho predicato in pubblico e nelle case, testimoniando a giudei e greci la conversione a Dio e la fede nel Signore Nostro Gesù" (v. 20-21). Qui c'è un riassunto dell'essenziale: conversione a Dio, fede in Gesù. Ma rimaniamo un attimo nella parola "conversione", che è la parola centrale o una delle parole centrali del Nuovo Testamento. Qui è interessante - per conoscere le dimensioni di questa parola - essere attenti alle diverse parole bibliche: in ebraico "šub" vuol dire "invertire la rotta", cominciare con una nuova direzione della vita; in greco "metanoia", "cambiamento del pensiero"; in latino "poenitentia", "azione mia per lasciarmi trasformare"; in italiano "conversione", che coincide piuttosto con la parola ebraica di "nuova direzione della vita". Forse possiamo vedere in modo particolare il perché della parola del Nuovo Testamento, la parola greca "metanoia", "cambiamento del pensiero". In un primo momento il pensiero appare tipicamente greco, ma andando in profondità vediamo che esprime realmente l'essenziale di ciò che anche le altre lingue dicono: cambiamento del pensiero, cioè reale cambiamento della nostra visione della realtà. Siccome siamo nati nel peccato originale, per noi "realtà" sono le cose che possiamo toccare, sono i soldi, sono la mia posizione, sono le cose di ogni giorno che vediamo nel telegiornale: questa è la realtà. E le cose spirituali appaiono un po' "dietro" la realtà: "Metanoia", cambiamento del pensiero, vuol dire invertire questa impressione. Non le cose materiali, non i soldi, non l'edificio, non quanto posso avere è l'essenziale, è la realtà. La realtà delle realtà è Dio. Questa realtà invisibile, apparentemente lontana da noi, è la realtà. Imparare questo, e così invertire il nostro pensiero, giudicare veramente come il reale che deve orientare tutto è Dio, sono le parole, la parola di Dio. Questo è il criterio, Dio, il criterio di tutto quanto faccio. Questo realmente è conversione, se il mio concetto di realtà è cambiato, se il mio pensiero è cambiato. E questo deve poi penetrare tutte le singole cose della mia vita: nel giudizio di ogni singola cosa prendere come criterio che cosa dice Dio su questo. Questa è la cosa essenziale, non quanto ricavo adesso per me, non il vantaggio o lo svantaggio che avrò, ma la vera realtà, orientarci a questa realtà. Dobbiamo proprio - mi sembra - nella Quaresima, che è cammino di conversione, esercitare ogni anno di nuovo questa inversione del concetto di realtà, cioè che Dio è la realtà, Cristo è la realtà e il criterio del mio agire e del mio pensare; esercitare questo nuovo orientamento della nostra vita. E così anche la parola latina "poenitentia", che ci appare un po' troppo esteriore e forse attivistica, diventa reale: esercitare questo vuole dire esercitare il dominio di me stesso, lasciarmi trasformare, con tutta la mia vita, dalla Parola di Dio, dal pensiero nuovo che viene dal Signore e mi mostra la vera realtà. Così non si tratta solo di pensiero, di intelletto, ma si tratta della totalità del mio essere, della mia visione della realtà. Questo cambiamento del pensiero, che è conversione, tocca il mio cuore e unisce intelletto e cuore, e mette fine a questa separazione tra intelletto e cuore, integra la mia personalità nel cuore che è aperto da Dio e che si apre a Dio. E così trovo la strada, il pensiero diventa fede, cioè un aver fiducia nel Signore, un affidarmi al Signore, vivere con Lui e intraprendere la sua strada in una vera sequela di Cristo.

 Poi san Paolo continua: "Costretto dallo Spirito, io vado a Gerusalemme, senza sapere ciò che là mi accadrà. So soltanto che lo Spirito Santo, di città in città, mi attesta che mi attendono catene e tribolazione. Non ritengo in nessun modo preziosa la mia vita, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù, di dare testimonianza al Vangelo della grazia di Dio" (vv. 22-24). San Paolo sa che probabilmente questo viaggio a Gerusalemme gli costerà la vita: sarà un viaggio verso il martirio. Qui dobbiamo tenere presente il perché del suo viaggio. Va a Gerusalemme per consegnare a quella comunità, alla Chiesa di Gerusalemme, la somma per i poveri raccolta nel mondo dei Gentili. E' quindi un viaggio di carità, ma di più: questa è un'espressione del riconoscimento dell'unità della Chiesa tra ebrei e gentili, è un riconoscimento formale del primato di Gerusalemme in quel tempo, del primato dei primi Apostoli, un riconoscimento dell'unità e dell'universalità della Chiesa. In questo senso, il viaggio ha un significato ecclesiologico e anche cristologico, perché ha così tanto valore per lui questo riconoscimento, questa espressione visibile dell'unicità e dell'universalità della Chiesa, che mette in conto anche il martirio. L'unità della Chiesa vale il martirio. Così egli dice: "Non ritengo in nessun modo preziosa la mia vita, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio" (v. 24). Il puro sopravvivere biologico - dice san Paolo - non è il primo valore per me; il primo valore per me è realizzare il mio servizio; il primo valore per me è l'essere con Cristo; il vivere con Cristo è la vera vita. Anche se egli perde questa vita biologica, non perde la vera vita. Invece se perdesse la comunione con Cristo per conservare la vita biologica, avrebbe perso proprio la vita stessa, l'essenziale del suo essere. Anche questo mi sembra importante: avere le giuste priorità. Certamente dobbiamo essere attenti alla nostra salute, a lavorare con ragionevolezza, ma anche sapere che il valore ultimo è stare in comunione con Cristo; vivere il nostro servizio e perfezionarlo conduce a termine la corsa. Forse possiamo rimanere ancora un attimo su questa espressione "purché conduca a termine la mia corsa". Fino alla fine l'Apostolo vuol essere servitore di Gesù, ambasciatore di Gesù per il Vangelo di Dio. Questo è importante, che anche nella vecchiaia, anche se procedono gli anni, non perdiamo lo zelo, la gioia di essere chiamati dal Signore. E' facile direi, in un certo senso, all'inizio del cammino sacerdotale essere pieni di zelo, di speranza, di coraggio, di attività, ma può seguire facilmente, se vediamo come le cose vanno, come il mondo rimane sempre lo stesso, come il servizio diventa pesante, perdere un po' questo entusiasmo. Ritorniamo sempre alla Parola di Dio, alla preghiera, alla comunione con Cristo nel Sacramento - questa intimità con Cristo - e lasciamoci rinnovare la nostra gioventù spirituale, rinnovare lo zelo, la gioia di poter andare con Cristo fino alla fine, di "condurre a termine la corsa", sempre nell'entusiasmo di essere chiamati da Cristo per questo grande servizio, per il Vangelo della Grazia di Dio. E questo è importante. Abbiamo parlato di umiltà, di questa volontà di Dio, che può essere dura. Alla fine, il titolo di tutto il Vangelo della Grazia di Dio è "Vangelo", è "Buona Notizia" che Dio ci conosce, che Dio mi ama, e che il Vangelo, la volontà ultima di Dio è Grazia. Ricordiamoci che la corsa del Vangelo comincia a Nazareth, nella stanza di Maria, con la parola "Ave Maria", ma in greco è "Chaire kecharitomene": "Gioisci perché stai nella Grazia!". E questa parola rimane il filo conduttore: il Vangelo è invito alla gioia perché siamo nella Grazia, e l'ultima parola di Dio è la Grazia.

 Poi viene il brano sul martirio imminente. Qui c'è una frase molto importante, che vorrei un po' meditare con voi: "Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti come custodi per essere pastori della Chiesa di Dio, che si è acquistata con il sangue del proprio Figlio" (v. 28). Comincio con la parola "vegliate". Qualche giorno fa, ho tenuto la catechesi su san Pietro Canisio, apostolo della Germania al tempo della Riforma, e mi è rimasta in mente una parola di questo Santo, una parola che era per lui un grido d'angoscia nel suo momento storico. Egli dice: "Vedete, Pietro dorme, Giuda è sveglio". Questa è una cosa che ci fa pensare: la sonnolenza dei buoni. Papa Pio XI ha detto: "il problema grande del nostro tempo non sono le forze negative, è la sonnolenza dei buoni". "Vegliate": meditiamo questa cosa, e pensiamo che il Signore nell'Orto degli Ulivi per due volte ha detto ai suoi apostoli: "Vegliate!", ed essi dormono. "Vegliate", dice a noi; cerchiamo di non dormire in questo tempo, ma di essere realmente pronti per la volontà di Dio e per la presenza della sua Parola, del suo Regno.

 "Vegliate su voi stessi" (v. 28): anche questa è una parola ai presbiteri di tutti i tempi. Esiste un attivismo bene intenzionato, ma nel quale uno dimentica la propria anima, la propria vita spirituale, il proprio essere con Cristo. San Carlo Borromeo, nella lettura del Breviario della sua memoria liturgica, ci dice, ogni anno di nuovo: non puoi essere un buon servitore per gli altri se trascuri la tua anima. "Vegliate su voi stessi": siamo attenti anche alla nostra vita spirituale, al nostro essere con Cristo. Come ho detto tante volte: pregare e meditare la Parola di Dio non è tempo perso per la cura delle anime, ma è condizione perché possiamo essere realmente in contatto con il Signore e così parlare di prima mano del Signore agli altri. "Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti come custodi per essere pastori della Chiesa di Dio" (v. 28). Qui due parole sono importanti. In primo luogo: "lo Spirito Santo vi ha costituiti"; cioè, il sacerdozio non è una realtà in cui uno trova un'occupazione, una professione utile, bella, che gli piace e che si sceglie. No! Siamo costituiti dallo Spirito Santo. Solo Dio può farci sacerdoti, solo Dio può scegliere i suoi sacerdoti e, se siamo scelti, siamo scelti da Lui. Qui appare chiaramente il carattere sacramentale del presbiterato e del sacerdozio, che non è una professione che deve essere svolta perché qualcuno deve amministrare le cose, deve anche predicare. Non è una cosa che facciamo noi, semplicemente. E' un'elezione dello Spirito Santo e in questa volontà dello Spirito Santo, volontà di Dio, viviamo e cerchiamo sempre più di lasciarci prendere nelle mani dallo Spirito Santo, dal Signore stesso. In secondo luogo: "costituiti come custodi, per essere pastori". La parola che qui, nella traduzione italiana, suona "custodi" è in greco "episkopos". San Paolo parla ai presbiteri, ma qui li chiama "episkopoi". Possiamo dire che, nell'evoluzione della realtà della Chiesa, i due ministeri non erano ancora chiaramente divisi e distinti, sono ancora evidentemente l'unico sacerdozio di Cristo ed essi, i presbiteri, sono anche "episkopoi". La parola "presbitero" viene soprattutto dalla tradizione ebraica, dove vigeva il sistema degli "anziani", dei "presbiteri", mentre la parola "episkopos" è stata creata o trovata nell'ambito della Chiesa dai pagani, e viene dal linguaggio dell'amministrazione romana. "Episkopoi" sono quelli che sorvegliano, che hanno una responsabilità amministrativa nel sorvegliare l'andamento delle cose. I cristiani hanno scelto questa parola nell'ambito pagano-cristiano per esprimere l'ufficio del presbitero, del sacerdote, ma naturalmente ciò ha cambiato subito il significato della parola. La parola "episkopoi" è stata subito identificata con la parola "pastori". Cioè, sorvegliare è "pascolare", fare il lavoro del pastore: in realtà ciò è diventato subito "poimainein", "pascolare" la Chiesa di Dio; è pensato nel senso di questa responsabilità per gli altri, di questo amore per il gregge di Dio. E non dimentichiamo che, nell'antico Oriente, "pastore" era il titolo dei re: essi sono i pastori del gregge, che è il popolo. In seguito, il re-Cristo trasforma interiormente essendo il vero re questo concetto. E' il Pastore che si fa agnello, il pastore che si fa uccidere per gli altri, per difenderli contro il lupo; il pastore il cui primo significato è amare questo gregge e così dare vita, nutrire, proteggere. Forse questi sono i due concetti centrali per questo ufficio del "pastore": nutrire facendo conoscere la Parola di Dio, non solo con le parole, ma testimoniandola per volontà di Dio; e proteggere con la preghiera, con tutto l'impegno della propria vita. Pastori, l'altro significato che hanno percepito i Padri nella parola cristiana "episkopoi" è: uno che sorveglia non come un burocrate, ma come uno che vede dal punto di vista di Dio, cammina verso l'altezza di Dio e nella luce di Dio vede questa piccola comunità della Chiesa. Questo è importante anche per un pastore della Chiesa, per un sacerdote, un "episkopos": che veda dal punto di vista di Dio, cerchi di vedere dall'alto, nel criterio di Dio e non secondo le proprie preferenze, ma come giudica Dio. Vedere da questa altezza di Dio e così amare con Dio e per Dio.

 "Essere pastori della Chiesa di Dio, che si è acquistata con il sangue del proprio Figlio" (v. 28). Qui troviamo una parola centrale sulla Chiesa. La Chiesa non è un'organizzazione che man mano si è formata; la Chiesa è nata nella Croce. Il Figlio ha acquistato la Chiesa nella Croce e non solo la Chiesa di quel momento, ma la Chiesa di tutti i tempi. Ha acquistato con il suo sangue questa porzione del popolo, del mondo, per Dio. E questo mi sembra che debba farci pensare. Cristo, Dio ha creato la Chiesa, la nuova Eva, con il suo sangue. Così ci ama e ci ha amati, e questo è vero in ogni momento. E questo ci deve anche far capire come la Chiesa è un dono; essere felici che siamo chiamati ad essere Chiesa di Dio; avere gioia di appartenere alla Chiesa. Certo, ci sono anche sempre aspetti negativi, difficili, ma in fondo deve rimanere questo: è un dono bellissimo che posso vivere nella Chiesa di Dio, nella Chiesa che il Signore si è acquistata con il suo sangue. Essere chiamati  a conoscere realmente il volto di Dio, conoscere la sua volontà, conoscere la sua Grazia, conoscere questo amore supremo, questa Grazia che ci guida e ci tiene per mano. Felicità di essere Chiesa, gioia di essere Chiesa. Mi sembra che dobbiamo re-imparare questo. La paura del trionfalismo ci ha fatto forse un po' dimenticare che è bello essere nella Chiesa, e che questo non è trionfalismo, ma è umiltà, essere grati per il dono del Signore.

 Segue subito che questa Chiesa è sempre anche non solo dono di Dio e divina, ma anche molto umana: "Verranno lupi rapaci" (v. 29). La Chiesa è sempre minacciata, c'è sempre il pericolo, l'opposizione del diavolo che non accetta che nell'umanità sia presente questo nuovo Popolo di Dio, che vi sia la presenza di Dio in una comunità vivente. Non deve quindi meravigliarci che ci sia sempre difficoltà, che ci sia sempre erba cattiva nel campo della Chiesa. E' stato sempre così e sarà sempre così. Ma dobbiamo essere consapevoli, con gioia, che la verità è più forte della menzogna, l'amore è più forte dell'odio, Dio è più forte di tutte le forze avverse a Lui. E con questa gioia, con questa certezza interiore prendiamo la nostra strada inter consolationes Dei et persecutiones mundi, dice il Concilio Vaticano II (cfr Cost. dogm. Lumen gentium, 8): tra le consolazioni di Dio e le persecuzioni del mondo.

 Ed ora il penultimo capoverso. A questo punto non vorrei più entrare nei dettagli: alla fine appare un elemento importante della Chiesa, dell'essere cristiani. "In tutte le maniere vi ho mostrato che i deboli si devono soccorrere lavorando così, ricordando le parole del Signore Gesù, che disse: 'Si è più beati nel dare che nel ricevere'" (cfr v. 35). L'opzione preferenziale per i poveri, l'amore per i deboli è fondamentale per la Chiesa, è fondamentale per il servizio di ciascuno di noi: essere attenti con grande amore per i deboli, anche se forse non sono simpatici, sono difficili. Ma essi aspettano la nostra carità, il nostro amore, e Dio aspetta questo nostro amore. In comunione con Cristo siamo chiamati a soccorrere con il nostro amore, con i nostri fatti, quelli che sono i deboli.

 Infine, l'ultimo capoverso: "Dopo aver detto questo, si inginocchiò con tutti loro e pregò" (v. 36). Alla fine, il discorso diventa preghiera e Paolo si inginocchiò. San Luca ci ricorda che anche il Signore nell'Orto degli Ulivi pregava in ginocchio, e ci dice che anche santo Stefano, nel momento del martirio, si è inginocchiato per pregare. Pregare in ginocchio vuol dire adorare la grandezza di Dio nella nostra debolezza, grati che il Signore ci ami proprio nella nostra debolezza. Dietro ciò appare la parola di san Paolo nella Lettera ai Filippesi, che è la trasformazione cristologica di una parola del profeta Isaia, il quale dice, nel capitolo 45, che tutto il mondo, il cielo, la terra e quanto è sotto terra, si inginocchierà davanti al Dio di Israele (cfr Is 45,23). E san Paolo concretizza: Cristo è sceso dal cielo alla croce, l'obbedienza ultima. E in questo momento si realizza questa parola del Profeta: davanti al Cristo crocifisso l'intero cosmo, i cieli, la terra e quanto è sotto terra, si inginocchia (cfr Fil 2,10-11). Egli è realmente l'espressione della vera grandezza di Dio. L'umiltà di Dio, l'amore fino alla croce, ci dimostra chi è Dio. Davanti a Lui noi siamo in ginocchio, adorando. Essere inginocchiati non è più espressione di servitù, ma proprio della libertà che ci dà l'amore di Dio, la gioia di essere redenti, di porsi insieme, con il cielo e la terra, con tutto il cosmo, ad adorare Cristo, essere uniti a Cristo e così essere redenti.

 Il discorso di san Paolo finisce nella preghiera. Anche i nostri discorsi devono finire nella preghiera. Preghiamo il Signore perché ci aiuti ad essere sempre più penetrati dalla Sua Parola, sempre più testimoni e non solo maestri, essere sempre più sacerdoti, pastori, "episkopoi", cioè quelli che vedono con Dio e fanno il servizio del Vangelo di Dio, il servizio del Vangelo della Grazia.

 [© Copyright 2011 - Libreria Editrice Vaticana]

mercoledì 2 marzo 2011

Messaggio del 2 Marzo 2011 attraverso Mirjana

"Cari figli, il mio Cuore materno soffre grandemente mentre guardo i miei figli che ostinatamente mettono ciò che è umano davanti a ciò che è Divino, i miei figli che, nonostante tutto ciò che li circonda e nonostante tutti i segni che vengono loro inviati, pensano di poter camminare senza mio Figlio. Non possono! Camminano verso la perdizione eterna. Perciò raduno voi che siete disposti ad aprirmi il vostro cuore, che siete disposti ad essere apostoli del mio amore, perché mi aiutiate, perché vivendo l’amore di Dio siate un esempio per coloro che non lo conoscono. Che il digiuno e la preghiera vi diano forza in questo ed io vi benedico con la benedizione materna nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Vi ringrazio."

Viganò reinterpreta il Vangelo

 il nuovo Vangelo di Viganò: “il Mio Regno è di questo mondo” Ho appena finito di leggere una lunga nota di mons.Viganò , in cui egli acc...